C’è chi dice che i V**gra Boys siano uno specchio in grado di mettere in luce l’assurdità dell’esistenza e le illusioni della realtà, un giudizio contorto sulla società occidentale guidato da un basso incalzante, una festa esagerata 24 su 7 sull’autostrada dell’acido. O forse, più che altro, una cruda presa in giro della mascolinità moderna, che offre narrazioni di evasione prive di qualsiasi forma di autoconservazione; come un’oscura porta di un vicolo sul retro della psiche umana.
Metafore a parte, i V**gra Boys sono un sestetto inarrestabilmente crudo, composto da musicisti jazz di formazione classica, tatuatori amanti del karaoke e veterani della scena hardcore, che sfornano suoni spastici e pulsanti dagli inferi della musica rock contemporanea – una forza maggiore di punk travolgente dei tempi che furono, disco PTSD e kraut sinteticamente potenziato. Il cantante e frontman Sebastian Murphy, un po’ Iggy Pop e un po’ Hank Williams, incarna tutto quello che i V**gra Boys rappresentano in ultima analisi: un’azione frammentata e forse disillusa, avvolta e tenuta insieme da una spavalderia inestinguibile, da apparizioni esplosive e da un songwriting pieno di risorse.